Panem et Circenses

Perché preferiamo guardare gli altri divertirsi invece di vivere

Il significato di Panem et Circenses

In italiano suona come “Pane e giochi” è una locuzione latina che ci arriva dritta dritta dall’antica Roma. Fu coniata dal poeta Giovenale, che non era proprio entusiasta del comportamento dei suoi concittadini. Anzi, era decisamente infastidito dal fatto che, per la maggior parte dei romani, bastava avere la pancia piena e un po’ di spettacolo per dimenticare qualsiasi problema politico, sociale o morale.

Insomma, la ricetta del consenso popolare era (ed è ancora): un panino e una distrazione. E funziona, da più di duemila anni.

Dal grano crudo al pane cotto: come comprarsi la pace sociale con carboidrati e spettacolo

Nella Roma imperiale, i governanti erano dei veri esperti di marketing politico ante litteram. Già nel I secolo d.C., si erano accorti che non serve governare bene, basta riempire la pancia della gente. Così nacque la strategia più geniale e duratura dell’intera storia del consenso: panem et circenses.

All’inizio non era neanche pane, eh. Era grano crudo. Proprio così: i cittadini ricevevano frumentum, ovvero sacchi di grano da macinare e cuocere da soli (tipo kit per pizza fatto in casa, ma senza il tutorial su YouTube). L’importante era che la plebe non morisse di fame, altrimenti chi andava poi al Colosseo a tifare gladiatori?

Già sotto Caio Gracco (123 a.C.), si istituirono le prime distribuzioni di grano gratuito – chiamate frumentationes. Ma fu l’imperatore Augusto, sempre lui, il primo a trasformare tutto questo in una vera e propria macchina del consenso: regolamentò, ampliò e stabilizzò le forniture alimentari alla plebe. Insomma, una mensa aziendale imperiale ante litteram.

Pane per non pensare, giochi per non ribellarsi

Con l’arrivo del pane cotto (dal II secolo d.C. circa), il popolo poté finalmente dire addio alle fatiche della panificazione. I molini pubblici, le panetterie e i forni collettivi iniziarono a sfornare pagnotte calde e fragranti. Nessuno si lamentava più del Senato o della corruzione se in cambio riceveva un bel panino… e magari un combattimento all’ultimo sangue tra due gladiatori come contorno.

E il secondo ingrediente del piatto? I circenses. Gare di bighe al Circo Massimo, lotte tra bestie esotiche, acrobati, giocolieri, teatrini satirici e naturalmente le star del momento: i gladiatori, veri e propri influencer del sangue, amati e idolatrati come calciatori milionari. Il tutto offerto dallo Stato. Nessun abbonamento premium, niente pubblicità, solo puro intrattenimento per evitare che qualcuno si ponesse troppe domande del tipo:
“Perché la città è in rovina?”
“Dove sono finite le risorse?”
“Perché il Senato ha appena votato per un nuovo acquedotto che porta l’acqua solo nella villa dell’imperatore?”

Il risultato? Il popolo, ben nutrito e perfettamente distratto, smetteva di preoccuparsi. Le ingiustizie sociali, la crisi economica, la decadenza morale? Meh. “C’è pane. C’è il circo. Va tutto bene.”

E oggi… che dite? Siamo davvero cambiati? O ci siamo solo abituati a ricevere il pane già in toast e il circo in streaming HD?

Oggi: Netflix e patatine

Passano i secoli, ma la sceneggiatura non cambia. Solo gli attori e i costumi.

Oggi il “pane” sono gli sconti del Black Friday, i servizi di delivery a domicilio, gli aperitivi social, mentre i “circenses” hanno assunto nuove forme: reality show, partite di calcio, gattini su TikTok, e live reaction su Twitch.

La differenza è che ora paghiamo per avere panem et circenses. E spesso paghiamo anche con il nostro tempo, che buttiamo ore e ore a guardare altri che si divertono: influencer in vacanza, calciatori che segnano, gamer che giocano, chef che cucinano… mentre noi, sul divano, scrolliamo con un pacchetto di crackers in mano.

Una forma moderna di anestesia sociale

La locuzione è più attuale che mai: viviamo in un’epoca dove l’intrattenimento è istantaneo, illimitato e spesso passivo. E mentre i “giochi” di oggi non sono più nell’arena ma sugli schermi, il risultato è identico: ci dimentichiamo di vivere davvero.

  • Guardiamo reality invece di parlare con chi vive con noi.
  • Facciamo binge-watching invece di passeggiare.
  • Seguiamo in diretta gente che fa sport, ma noi… seduti.

“Panem et Circenses 2.0”, aggiornato alla nostra era digitale, è un modo per anestetizzare ansie, stress, pensieri scomodi… ma anche relazioni, progetti, sogni.

E se uscissimo dallo stadio (o dal feed)?

Giovenale aveva capito tutto: la fame si può saziare, ma la noia e la disillusione si combattono con qualcosa di più profondo dei “giochi”.

Smettiamo di essere spettatori.
Proviamo ad alzarci dal divano, a spegnere il terzo episodio consecutivo e a vivere il nostro “spettacolo”: un gioco con i figli, una cena senza smartphone, una serata tra amici dove ridere davvero e non per uno sketch virale.

Conclusione: il pane è buono, ma servono anche le idee

Non c’è nulla di male in un po’ di intrattenimento – e, ammettiamolo, il pane è delizioso. Ma quando tutta la nostra vita ruota attorno a consumare passivamente cibo e divertimento confezionato da altri, forse dovremmo fermarci a riflettere.

Giovenale ci ha lasciato una locuzione che fa pensare, ma anche sorridere – soprattutto se la si guarda con ironia. Perché, in fondo, non serve essere gladiatori per cambiare le cose: basta scegliere di vivere, non solo di guardare.