Ricordati che devi morire, ma anche ridere nel frattempo

“Memento mori” è una locuzione latina che significa letteralmente “Ricordati che devi morire”. Composta dall’imperativo del verbo meminī (“ricordare”) e da mori, infinito presente del verbo “morire”, questa espressione era usata nell’antica Roma — e in particolare durante le celebrazioni trionfali — per ricordare al generale vittorioso che, per quanto grande fosse il suo successo, era pur sempre mortale.
Nel Medioevo e durante il Rinascimento, il “Memento mori” divenne un vero e proprio motto filosofico e religioso, spesso accompagnato da simboli come teschi, clessidre o fiori appassiti. Il suo scopo? Rammentarci la fugacità della vita, per vivere meglio, più consapevolmente… o per pentirci, a seconda dell’umore del predicatore.
Tra arte, meme e selfie al cimitero

Nel XXI secolo, “Memento mori” ha fatto un curioso salto: da ammonimento spirituale a trend culturale. Lo trovi tatuato sul bicipite del tuo amico filosofo da palestra, inciso sulle tazze minimal da caffè, o come hashtag sotto le foto in bianco e nero di tramonti drammatici.
E se un tempo il teschio serviva a ricordarti la caducità della carne, oggi è diventato uno stile di vita gotico-chic o uno sticker su WhatsApp. Insomma, morire va ancora di moda, ma con un filtro Valencia.
Il senso profondo (e un po’ sarcastico)
Prendere sul serio un “Memento mori” non significa passare la giornata a meditare sulla bara. Significa vivere meglio, dando peso a ciò che conta davvero: il tempo, le relazioni, le scelte. Ma anche concedersi un sorriso, una battuta, un’ironia sul fatto che, alla fine, siamo tutti protagonisti temporanei di un palcoscenico che ci supera.
Quindi sì, ricordati che devi morire.
Ma prima di farlo, prenota quel viaggio, ama forte, sbaglia pure… e magari posta un meme filosofico.